Uno, nessuno e centomila
Parlare della violenza che ha squarciato la manifestazione del 14 novembre 2012 sarebbe troppo facile e ingiusto. Facile perché, come al solito, afferriamo una piccola zattera nell’Oceano degli eventi e speriamo di giungere a riva sani e salvi, evitando di nuotare nel mare aperto delle verità.
Ingiusto perché, come sempre, ogni manifestazione che abbia avuto luogo negli ultimi anni è stata illuminata dal faro della brutalità. Antonio Padellaro, l’ha definita “una violenta giornata italiana”. Eppure in quelle piazze di 23 Paesi Europei hanno manifestato contemporaneamente quelli che si definiscono il 99%, contro la propaganda del “ ce lo chiede l’Europa” e la fiscal-politica del nuovo Secolo. Non c’erano solo i ceti medi, i cassaintegrati, i lavoratori precari europei. A indignarsi c’era una “massa” di giovani cui i sindacati (presenti) non danno tutele e risposte, in attesa di un posto di lavoro che non c’è. A protestare c’era la Scuola, come entità astratta e magica ma viva nei visi degli studenti e degli insegnanti che le danno voce. Non dimentichiamo che proprio la Scuola entra nella Costituzione italiana perché essa si apre ai nuovi diritti dello Stato sociale. E’ grazie all’articolo 3, laddove enuclea che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” che la nostra Costituzione si apre alla scuola, al diritto allo studio, come momento essenziale per la nascita e la crescita di una società civile. Quello scolastico è uno dei tanti problemi un po’ dimenticati, se consideriamo che il nostro popolo vive in una povertà di spirito latente, nella continua distruzione della carne e dell’anima. Si parla di informatizzazione ma manca l’ABC, dalla carta igienica alle risorse umane. Si tende alla supernuova tecnologia, ma l’innovazione e la ricerca vivono in uno stato comatoso. Si invoca l’austerity attraverso politiche neoliberiste atte a colpire le intelligenze, le competenze e la creatività. Di seguito, le parole di una delle 21 donne che hanno scritto la nostra Costituzione, Bianca Bianchi, dimostrando l’aberrante immobilismo del tempo italiano
La libertà deve esistere in sé e per sé, come fine a se stessa. La scuola in Italia non è mai stata libera, è stata sempre asservita a qualche cosa o a qualcuno. E per aver sempre cercato il fine fuori di sé, nasconde ancora nel suo seno elementi conservatori e reazionari. […]
Il nostro popolo è colto, erudito e sapiente; ma è uno dei popoli peggio educati della vita civile internazionale, perché noi non sappiamo formare la coscienza, né irrobustire il carattere, né dar vita all’intelligenza libera. Io non vorrei offendere la suscettibilità di nessuno se dico che noi formiamo la coscienza a base di catechismo. Diamo formule vecchie e ripetute e non impegniamo l’alunno a discutere queste medesime formule. Non lo educhiamo a criticare e a pensare e non gli diamo sufficiente fiducia in se stesso affinché da solo possa camminare, orientarsi e affrontare e risolvere ogni problema. Quando noi parliamo della laicità della scuola vogliamo intendere questa volontà seria che formi uomini dalle convinzioni serie e forti.
Non bisogna mai mettere gli uomini in condizioni di essere disonesti, e noi stiamo mettendo la categoria degli insegnanti nella triste necessità di esercitare la disonestà in seno alla scuola e di non svolgere serenamente il loro compito nel migliore modo in cui lo dovrebbero svolgere. […]
C’è da sostenere la lotta contro l’analfabetismo, troppo diffuso ancora in Italia, e contro l’ingiustizia sociale che considera sempre la cultura come un lusso e un privilegio di coloro che possiedono ricchezze, e non un diritto sacrosanto delle persone umane. Io credo che la scuola sia il banco di prova della intrinseca forza e ricchezza del nostro Stato democratico.