The end: il cinema Santa Lucia!
Ogni epoca ha i suoi gusti, le sue inclinazioni e manie e malattie predominanti. In Italia, l’epoca umbertina amò l’opera di un amore violento, cieco, ridicolo, patologico. Il dopoguerra soffre, tra l’altro, di due nuove malattie: il tifo sportivo e la mania del cinematografo, che chiameremo per brevità filmopatia. (Mario Soldati)
Nel novembre dello scorso anno, in un’intervista rilasciata a Il Messaggero, l’attore e regista Carlo Verdone esprimeva tutto il suo dissenso ed estrema tristezza sulla chiusura delle sale cinematografiche italiane.
«Dal 2001 ad oggi, oltre 880 schermi hanno chiuso. Solo quest’anno circa 80. Sono numeri da funerale per la sala cinematografica. Ecco, questo non lo dobbiamo permettere. Regioni e Comuni dovrebbero farsi paladini della loro sopravvivenza…Ci vorrebbe un atto di coraggio culturale per preservare non solo una memoria storica ma prodotti di qualità che rischiano la scomparsa per assenza di fruitori».
«Negli anni e con l’avvento di internet tutto è cambiato. E tutto diventa molto difficile per l’esercizio. Non c’è solo un drammatico problema di pirateria on line, un fenomeno mondiale in Italia particolarmente marcato; probabilmente conta anche un’offerta di eventi televisivi riguardanti lo sport in diretta, migliaia di film al mese in tante finestre nelle televisioni. E non possiamo assolutamente sottovalutare una crisi economica che inibisce, specie per alcune fasce meno protette sul piano economico, un’affluenza massiccia». «Io – conclude Verdone – mi auguro solo una cosa: che la sala cinematografica non debba scomparire. Sarebbe la fine della condivisione di emozioni e il trionfo della solitudine».
Dopo 45 anni di attività, i proprietari del cinema Santa Lucia decidono di chiudere, di abbassare le saracinesche e far scorrere i titoli di coda. Come accade dopo la visione di un film, dopo la lettura di un libro o l’uscita da una mostra, ci si sente contemporaneamente pieni e vuoti. Il cinema del rione san Lazzaro nasceva nel dopo guerra, con l’arrivo dei primi film americani. Voglia di evadere ed estremo bisogno di guardare altrove, attraverso le lenti della spensieratezza, hanno fatto la loro parte nel decretare la sala cinematografica reale punto di incontro cittadino. Ascesa culturale e decadenza sono stati i protagonisti di questa vicenda che tende l’orecchio alla rabbia per quello che è successo con l’Ariston e Fiamma, divenuta una sala Bingo, succede con il Santa Lucia appunto e forse succederà ancora, lasciando amara la bocca di chi ha sognato assieme ai gestori e ai dipendenti del cinema.Tuttavia, sarebbe opportuno ricordare anche le realtà salentine come il Festival del Cinema del Reale, la Fluid Video Crew e progetti sul modello del Kino di Roma, nel quartiere Pigneto. Così ci si interroga sul futuro, del cinema e dell’arte in generale. A chiedersi “dove andremo a finire” tutti coloro i quali hanno partecipato all’incontro promosso dall’associazione Lecce Bene Comune, avvenuto ieri, 17 febbraio 2013, presso le officine Knos, aventi come oggetto la vendita del cinema Santa Lucia e la conseguente chiusura della sala cinematografica. Iniziativa sicuramente lodevole la cui ambizione, a detta degli stessi organizzatori, non era evitare la reale chiusura, data l’evidente volontà dei proprietari di vendere, quanto cercare e trovare dei suggerimenti, delle proposte, idee che puntino a preservare la qualità e la cultura del cinema in generale. Tuttavia, c’è un dato allarmante che potrebbe abbracciare il problema in quanto tale: soltanto il 10% della popolazione italiana nel suo complesso accede ai “consumi culturali”.
In una città come Lecce, candidata a divenire capitale della cultura, resiste una sola multisala nel circuito locale. Nostalgico ricordare il vento di avanguardia culturale che soffiava nella città salentina tra gli anni ’60 e ’70. Il consumo culturale leccese era altamente qualificante per il cinema. Poi, nella nostra profonda italianità, a causa della più pura forma di lassismo e scarsa reattività, abbiamo subìto la crisi, non percependola sin dall’inizio.
L’enorme ritardo con cui vengono percepiti e successivamente affrontati i problemi, laddove si abbia il coraggio di affrontarli, ci ha condotti alla liturgia, a tenere in mano il lumino, nel funerale dell’arte. E da un lato c’è il reale problema che grava sui gestori, dell’IMU e degli altri costi fissi, nella totale assenza degli interventi pubblici, dall’altro lato, la dubbia macchina della distribuzione. Così, gli stessi gestori potrebbero essere coinvolti e coinvolgere la “platea” di afficionados, i romantici del cinema, per discutere e osservare da vicino i problemi che affliggono costantemente il cinema leccese e non solo. Perchè cinema e attività culturali in senso lato hanno fortemente bisogno di sostegni ad hoc. E’ l’analfabetismo il vero demone da combattere, non la televisione, non la digitalizzazione e neppure la multisala. Questi ultimi sono gli effetti di una società che va avanti, grazie a dinamiche di marketing, in affanno, che cercano di rincorrere il super colosso americano.
Estremo e urgente il bisogno di coinvolgere persone che possano reinventare il modo di concepire la comunicazione audiovisiva. Essenziale il verbo “ritrovare”, quando si parla di una comunità che ha abbondonato la sua stessa natura aggregativa.
Eppure al di là delle poetiche riflessioni scaturite, oltre la vana gloria della retorica di nostalgici e romantici della pellicola, nell’ovvia constatazione che incontri così siano sempre lodevoli ed esportabili, c’è una domanda cui forse non sarà data risposta: e quindi?
Molto spesso al cospetto di figure intellettuali di una certa generazione, l’onnipresente giovane, super nominato, si sente fuori luogo, nel tempo e nello spazio, lontano da logiche di pensiero estremamente elitarie, non tanto per ciò che si possiede nel portafoglio ma in quello che si tenta di progettare. Non è soltanto con la creazione di circoli, club e associazioni che si può salvare un’arte nobile; nell’intento di preservarla si rischierebbe di ghettizzare la cultura che, al contrario, si nutre di ciascuno di noi, dal bambino che viene portato per la prima volta al cinema dai genitori, all’anziano che guarda alla sala cinematografica come punto di svago, preferendola al Bingo. In mezzo i giovani, tutti, quelli stessi che ai film scaricati, a quelli mal-visti attraverso lo streaming, di gran lunga preferirebbero un maxi schermo e un dolby surround su poltrone comode, se solo ci fossero delle agevolazioni, delle piccole convenzioni, oltre il monopolio del “santo mercoledì” al Cinema. E come soleva dire Mario Soldati, scrittore, sceneggiatore e regista cinematografico italiano nel suo 24 ore in uno studio cinematografico, Conviene tener presente una cosa essenziale: il cinematografo talvolta è arte, ma è sempre industria… Non v’è, si può dire, attività umana, dalla più spirituale alla più materiale, non v’è arte, meccanismo, scienza, esercizio che sia escluso dal cinematografo.