Se Una Spinta Ti Apre Le Porte della Società
Raccomandazione: quando si sentiva pronunciare le prime volte, sembrava una parola maledetta. A pochi metteva paura, perché sapevano di essersi sottomessi. Per sempre. Ai più, invece andava a genio, consapevoli del proprio ruolo che, da quel momento in poi, sarebbe cambiato nella società. E ancora all’inizio era una parola che veniva solo sussurrata. Nelle case di paese usciva da lingue che si scioglievano solo dopo che gli usci erano stati ben chiusi. Al contrario nelle stanze che contavano bastava un nome e uno sguardo per intendersi. Poi, a cena o in qualche altro incontro, tutto sarebbe stato aggiustato, anzi perfezionato. In tempi antichi era una cortesia, un atto di rispetto alle famiglie che meritavano ed alle quali, per retaggio, tradizione o censo, non si poteva dire di no. Ai tempi nostri, con la crisi che incalza, con i posti di lavoro che cadono uno dietro l’altro, quasi fossero foglie d’autunno, inghiottiti nel vortice della recessione, è invece più di un affare. Una conquista. Però né ieri né oggi si vuol ammettere ciò che c’è dietro alla parola: raccomandazione. Si nascondono il mistero, una necessità, un vizio, un ricatto ed un riscatto personale, una condizione sociale, una rete di alleanze e conoscenze. Si occulta la stessa vita. Bisogna essere digiuni di pregiudizi per pretendere che il termine subisca un processo di revisione. Forse all’inizio la raccomandazione era qualcosa di diverso, di genuino, di spontaneo. Poi ha finito con il diventare il suo opposto apparentandola al proibito. La ottiene solo chi, per conoscenze politiche, familiari e sociali, è in grado di conquistare quell’aggancio prezioso che, da quel momento in poi, gli renderà meno accidentato il percorso della vita. Tempi cambiati, e di molto.
In passato, nella cultura contadina di tanta gente che la testa la usava per strappare alla terra il seme della vita, la raccomandazione era un semplice affidarsi nelle mani di qualcuno – solitamente il medico del paese, il farmacista o il parroco – sia per ringraziare per quello che gli era stato concesso spontaneamente sia per sentirsi protetti, al sicuro da un tormento, da un problema. Si andava dal dottore con le uova fresche di giornata in segno di riconoscenza, ma anche per una eventuale cortesia che sarebbe venuta con il tempo che non consentiva una perdita d’altro tempo. In gioco c’era un’esistenza misera ed un ulteriore schiaffo alla povertà significava una vita in meno.
Con la nuova povertà del XX secolo, l’Italia si trasforma per cambiare e rimanere ciò che è, ed è sempre stata. L’ufficio di collocamento più frequentato resta sempre la famiglia. La metà degli occupati trova lavoro, anzi si sistema perché questo è il termine più appropriato, grazie a parenti, amici e conoscenze. Per alcuni la spintarella è un vanto, non una vergogna. Una sorta di stato civile che evidenzia la forza della propria famiglia nel tessere appoggi potenti, di quelli che contano. Le relazioni personali, a quanto pare, sono la via più facile e semplice per fare strada. A che serve il curriculum nella penisola dei raccomandati che premia con ostinazione i non meritevoli, i mediocri, i figli di… e gli amici degli amici? I bravi trombati, quelli che studiano e sgobbano, ma non hanno santi in paradiso, spesso sono costretti ad emigrare: arricchiscono il patrimonio di competenze e professionalità di altri paesi. Nella cultura del meno sai e più fai strada con il politico più influente, la raccomandazione serve a tutto. Davvero! La gente si fa raccomandare per un buon posto in ospedale, per i figli a scuola, per trovare il posto fisso, per abbattere ostacoli della burocrazia. Pensate: ci si fa raccomandare anche per avere un posto al cimitero! E pensare che Totò, con una celebre poesia di tanti e tanti anni fa, aveva visto proprio nella morte quell’evento che tutto e tutti livella, ricchi e poveri, potenti e diseredati, letterati ed analfabeti. Passato questo cancello, diceva appunto il grande Totò riferendosi all’ingresso del cimitero, non apparteniamo a nessuno, se non alla morte. Sembra e forse lo è quello descritto nella poesia un quadro d’altri tempi.
Oggi, invece, la spintarella aiuta anche i bravi a superare quei limiti che ne impediscono il percorso naturale dell’affermazione professionale. Ci sono persone meritevoli che, però, non sanno andare oltre, perché non possono farlo. Per tanti motivi: per una vita disagiata condotta, per una incapacità di relazionarsi, per le ristrette alternative sociali, per le mancate possibilità economiche. Insomma è un delitto, un reato, suggerire il nome di qualcuno meritevole a qualcun’altro o meglio raccomandare i capaci, ma sfortunati, lungo il percorso della giusta prospettiva professionale? Non penso. Perché questi raccomandati, di certo, si faranno valere sul campo. Perché nel loro dna c’è quella professionalità che fa la differenza. Negli anni ’70 e ’80 un potente direttore generale della Rai dell’epoca, come raccontava lui stesso, chiedeva ai partiti, influenti nelle nomine, una rosa di persone, di candidati, per il posto da coprire. Infine sceglieva. In quella rosa, diceva, cercava sempre di trovare i più bravi, i più capaci. Altri tempi. Oggi la lottizzazione è selvaggia. Spietata. E non solo nell’informazione pubblica, purtroppo. Perché quando si raccomandano cervelli inefficienti, teste mediocri, visi più o meno delicati in emittenti televisive e personaggi in uffici dirigenziali e reparti d’analisi e controllo si fa un danno. Alla società anzitutto che prima o poi, con un aggravio di costi e di sprechi, sarà chiamata a pagare le conseguenze di quella scelta. Poi allo stesso raccomandato che acquisisce una sorta di patente dell’incapacità. Certo, non soffrirà, anzi non soffre senz’altro la sua condizione beffandosi degli altri, ma in cuor suo sa benissimo di essere stato piazzato lì, a quel posto, solo e soltanto grazie all’appoggio, all’intervento di… Ma se un incapace fa danno a se stesso è evidente che sia poca cosa, quando invece lo produce alla società si riverbera su tutti noi cittadini. Colpisce i nostri diritti, rende inefficiente un’azienda i un servizio, aumenta quella ferraginosità del sistema che tutti vorrebbero più fluido, più aperto, più dinamico, più concorrenziale.
È un altro aspetto della casta. Sì, perché non c’è solo la casta dei politici di cui si parla tantissimo, non c’è solo la casta delle professioni, tutta abbarbicata e serrata nel difendere i propri privilegi, c’è anche la casta dei raccomandati. Certo, al contrario delle prime due non ha una visibilità immediata e netta, non ha lobby che la difendono, non ha persone che spendano per lei, ma esiste. Ed è più numerosa di qualsiasi altra. E soprattutto più dannosa. Perché rovina il futuro di tanti, meritevoli e capaci, ma senza quelle chiavi che tutto o quasi tutto possono aprire. E perché con il suo fardello di vischiosità e facendo prevalere l’appartenenza sulla competenza, impedisce ad un Paese intero di camminare con passo spedito.