Quel faccia a faccia che cambia volto
Rose rosse foderano il fetore del male, richiamando in vita con il loro odore le persone uccise dai cecchini.
Purpurei oggetti dimorano un luogo, dove quasi sicuramente esistono persone che hanno perso qualche familiare. C’è un posto dove sono morti più di 1.560 bambini: una generazione stroncata.
“…realizzare una completa separazione fisica di Srebrenica da Zepa, dunque impedire anche la singola comunicazione tra queste enclave. Attraverso un’attività bellica quotidiana,pianificata e ragionata, creare condizioni di totale insicurezza, insostenibilità e impossibilità di ulteriore permanenza e sopravvivenza degli abitanti di Srebrenica”
Operazione KRIVAJA 95 dalla “direttiva 7” emessa da Radovan Karad_ić
Le cicatrici rimangono, sono visibili. Raccontare però, potrebbe aiutare a guarire.
Il passato è universale, non è proprietà di nessuno in particolare.
I Balcani annunciano la parte più genuina dell’Europa. La carneficina e le follie nazionaliste di un decennio, le discriminazioni latenti, ma consistenti nei confronti delle minoranze, non hanno abbrutito il sano desiderio di vivere che soffia come il vento di tramontana in queste zone, soprattutto tra i giovani.
E’ una terra del paradosso, questa.
A volte, le parole rappresentano il solido pilastro che sostiene il fine peculiare ed unico: riemergere e tornare a volare. Oggi tutti si trovano fragili davanti ad un futuro inesistente o meglio, lontanissimo. E quando ci si trova isolati, è facile estremizzare quelle che sono futilità.
Tuttavia, attraverso lenti adatte, si comprende che le persone non hanno perso l’appetito per una vita migliore.
Nella terra del paradosso, come ci piace chiamarla, si resta positivamente folgorati dall’ironia della gente, dalla loro voglia di scherzare e dalla giovialità…nonostante tutto!
I riflettori dei media internazionali si sono brevemente accesi per ricordare il ventennale dell’assedio di Sarajevo. Si guarda al passato perché la città è ebbra di ricordi. Si sveglia Sarajevo, commemorando i propri morti, lasciando 11.541 sedie vuote sulla Titova, via Maresciallo Tito.
Per ciascuna delle persone sopravvissute è divenuto ormai vitale rispolverare la capacità di credere in qualcosa, qualsiasi cosa. Risposte, è questo che bramano. Trovare delle risposte aiuta il vivere assieme. Come fenici, cercano di risorgere dalle ceneri, convinti che il libro della loro esistenza scompaginato e accartocciato, ritorni ad essere scritto.
Si respira aria di attesa. L’Università pullula di studenti attenti, che hanno voglia di lasciare da parte la questione politica dello status. Vogliono “semplicemente” lavorare!
La stessa Università di Sarajevo ha fortemente scelto di proiettare sul web un museo virtuale che riporti, attraverso filmati e attività multimediali, la quotidianità degli scontri.
Museo dell’Assedio di Sarajevo – l’arte di vivere 1992-1996, questo il nome del progetto sostenuto dalla Municipalità di Sarajevo e dal Consorzio promotore dello stesso. FAMA è l’organizzazione ideata da alcuni giovani creativi sarajevesi, noti per aver realizzato la Sarajevo Survival Guide, guida in cui le informazioni erano adatte alla situazione di guerra.
L’intento è dimostrare che il lavoro, la creatività, l’intelligenza e l’umanità può esistere anche in una situazione infernale come quella dell’assedio. Allo stesso tempo, evidenzia la perversione della natura umana, la capacità del genere umano a compiere determinati atti di totale crudeltà.
Il Comune di Sarajevo Centro ha donato al Consorzio, oltre alla struttura del Museo, un terreno di cinque mila metri quadrati nei pressi del Parlamento. Convinti che la memoria sia come un tesoro. Per questo va custodita anche attraverso l’uso di mappe interattive, proiezioni in 3D, video-testimonianze e scritti. Si tratta della memoria dei fanciulli, dei giovani, delle donne e degli uomini che furono in grado di resistere a più di 1.000 giorni di assedio.
La FAMA Collection Bank of Knowledge offre enormi opportunità a tutti, per far scoprire ciò che non è ancora conosciuto. Una fra tutte la possibilità di stabilire un modello di conoscenza per interpretare il fenomeno della disintegrazione della Yugoslavia, dal 1991 al 1999.
La Banca prova che una mente aperta, se priva di pregiudizi, può raggiungere quello che loro chiamano “l’arte di vivere”. Lo scopo è confrontare la storia dell’assedio con gli eventi contemporanei, attraverso la mappa dei fatti, le cause e le conseguenze, per giungere ad una riflessione didattica. E’ necessario contribuire alla verità regionale e al processo di riconciliazione, facendo del Museo un modello educativo, fulcro per i cambiamenti delle persone e delle idee. Ma per farlo, sostengono i promotori del progetto, è fondamentale lo sforzo della collettività.
Sarajevo fa parte del mondo ma deve imparare a starci dentro, selezionando persone valide ed intelligenti che si definiscano, innanzitutto, cittadini.
Troppi, ancora, sono i problemi da risolvere. Si chiede ancora giustizia per le vittime, c’è la questione della transizione economica legata alla crisi che vive come ogni capitale europea, con un tasso di disoccupazione reale che sfiora il 30%.
Sarajevo simboleggia l’occasione ed anche il rischio dell’incontro.
L’Europa è preparata?