Omaggio alla donna, scienziata e italiana Rita Levi Montalcini
Con Regio decreto,la legge n.1728 del 17 novembre del 1938, sono stati emanati i provvedimenti per la difesa della razza italiana, più noti come leggi razziali. L’articolo 10 di suddetti provvedimenti recitava che i cittadini italiani di razza ebraica non potevano :
a) prestare servizio militare in pace e in guerra;
b) esercitare l’ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica
c) essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, né avere di dette aziende la direzione né assumervi comunque, l’ufficio di amministrazione o di sindaco;
d) essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila;
e) essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila.
Inoltre, per l’articolo 13, non potevano avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica tutte le Amministrazioni civili e militari dello Stato.
Nel 1909, da una famiglia ebrea sefardita, nasce a Torino una delle più brillanti menti del vecchio e del nuovo secolo, tra le poche ad aver sposato cuore e cervello. L’essere nata ebrea, per lei, Rita Levi Montalcini, così come per tutti gli ebrei italiani, dal 1938 non fu cosa da poco. Due anni prima, nonostante il padre fosse fermamente contrario alla sua iscrizione all’Università in quanto donna, Rita consegue la laurea in Medicina. L’emanazione delle leggi razziali la costringe a interrompere l’attività ed emigrare dapprima in Belgio.
Non volendo arrendersi, né rassegnarsi alla mediocrità, pensa fortemente di uscire dalla zona grigia della passività, coltivando il coraggio di ribellarsi. Così, anche quando il Paese ospite viene invaso dalle truppe tedesche, rientra in Patria, e a Torino allestisce un laboratorio domestico di neuro embriologia nella sua camera da letto, perché nulla poteva fermarla dal proseguire le sue ricerche. Lì, in quella camera dei sogni, delle speranze e della razionalità, anima e cuore studiano assieme, per capire come si creano le fibre nervose, i fattori che regolano la crescita del sistema nervoso. Nel 1947, in piena ricostruzione italiana, lascia la città natale per approdare alla Washington University di Saint Louis, invitata dal professore Viktor Hamburger, incuriosito dai suoi studi. Lì, durante un esperimento, scopre che : un tumore di topo trapiantato in un embrione di pollo produce come risultato una rigogliosa crescita di fibre nervose. Questi esperimenti dimostrarono in modo inequivocabile che il tumore trapiantato liberava una sostanza di natura diffusibile che promuoveva la crescita abnorme di fibre nervose. Dopo aver scoperto che i tumori maligni S180 e S37 rilasciavano questo fattore umorale, si trattava di identificare il fattore stesso. Presa la decisione di ricorrere al metodo di coltura dei tessuti in vitro appreso a Torino dal grande istologo Giuseppe Levi, fu necessario trasferire le ricerche a Rio de Janeiro, all’Istituto di Biofisica diretto da Carlo Chagas. Gli esperimenti condotti nel reparto di colture in quella sede diedero risultati di eccezionale interesse.
Mentre la Montalcini è a Rio per le ricerche in vitro, negli Usa il biochimico Stanley Cohen riesce a individuare con precisione quello che oggi è chiamato NGF Nerve growth factor o fattore di crescita del tessuto nervoso, portandolo a condividere con la scienziata italiana il premio Nobel trent’anni più tardi, nel 1986. La casuale scoperta porta a riconoscere che il Ngf non influenzi solo la crescita delle cellule del sistema nervoso periferico ma anche quelle del cervello. L’ambizioso premio è arrivato all’età di 77 anni. Nella motivazione si legge: “La scoperta del Ngf è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos”.
Rita, la donna, la scienziata, la sorella, la figlia, dall’animo nobile, il corpo minuto, quasi fragile, non ha mai smesso di lavorare e non l’avrebbe mai fatto.
«Ho perso un po’ la vista, molto l’udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente»
Tuttavia, all’età di 103 anni, ha dovuto fare i conti con la morte. Lei,che non ha mai voluto camuffare la vecchiaia, anche quando le rughe erano profonde e vistose. Lei che ha amato tanto L’Italia, ma come tutti gli innamorati ha patito le pene di chi non è ricambiato con la stessa intensità. Ha sempre lottato per la ricerca, sperando che quella italiana esca dai vincoli burocratici che finora ne hanno mortificato lo sviluppo. Gli scienziati non possono avere un trattamento da impiegati. Bisogna premiare chi produce e punire chi non lavora. E’ doloroso ammetterlo ma in Italia la mancanza di stimoli verso i ricercatori ha costretto ad isolarli in piccoli gruppi, a farli lavorare individualmente. Negli Stati Uniti, invece, si lavora in gruppo: oggi è l’unica strada per raggiungere risultati di rilievo. “Continuerò a lavorare come ho sempre fatto e il ricavato lo devolverò in beneficenza e per aiutare i giovani studiosi di neurobiologia. Sono dispiaciuta per i tanti cervelli costretti ad emigrare perché il nostro paese non li valorizza e non li sostiene abbastanza. ‘I nostri scienziati sono un’importante risorsa che non possiamo proprio lasciare scappare. Il nostro paese non può e non deve farlo”.
Nel 2001 è stata nominata senatrice a vita dal presidente dellaRepubblica Carlo Azeglio Ciampi ”per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”. Così, oltre alla scienza è stata devota anche alla politica, come missione civile e sociale, elevazione di mente e spirito, al servizio del cittadino. Ha dovuto ascoltare gli insulti di chi, come Storace, ha pensato bene potessero servirle le stampelle, per aver votato la Finanziaria del 2007, fondamentale per la sopravvivenza del Governo Prodi. Roberto Castelli poi, espresse il giudizio di “spreco e mercimonio” sui finanziamenti all’European Research Institute, diretto dalla Premio Nobel. Per concludere con Umberto Bossi, che preferisce di gran lunga Scilipoti a “quella scienziata”.
Il nostro Paese, si sa, si ama e si odia, è lo specchio delle contraddizioni dell’animo umano. Un giorno ti stimo e l’altro sei il mio miglior nemico. Caino e Abele dell’anima mia. E’ l’unico posto in cui in vita e in morte una stessa persona può diventare altra, apprezzata e degradata, umiliata e stimata.
Concludiamo questo omaggio alla donna che ci ha reso orgogliosi di essere italiani, che ha lasciato un’eredità morale e scientifica degna del nome e che con il suo esemplare modus operandi ci rende liberi di sperare, proprio con le sue parole:
Purtroppo buona parte del nostro comportamento è ancora guidata dal cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie, la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo, sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così; Tutti dicono che il cervello sia l’organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore. Ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi..