Ogni giorno si leverà col sole, basta guardarlo dentro
Ci sono storie che sanno parlare senza filtri. Storie che non hanno bisogno del circo dei sentimenti per raccontare la realtà. Sono ridotte all’osso, consumate, a volte, dall’indifferenza. Eppure quelle storie sembrano fazzoletti sbrindellati. Una sorta di resa. Una fine accettata come un brutto carattere, nella migliore delle ipotesi. Già, perché nella normalità di una vita sotto scacco, ci si sente delle scorie, meno di niente, per colpa di qualcuno che mira alla dignità.
Le parabole delle granate sono imprevedibili. I proiettili dei cecchini no. Non ci sono voci, solo grida. Poi il silenzio, come nessun’altra voce riesce a raccontare, per ripiombare nell’odio, nell’indignazione, nella disperazione, nella speranza e nell’amore. Perché dovrà pur tornare, senza colpe. Libero e vero, quell’amore disintegrato. Qualcuno, più di qualcuno, ha dovuto dire addio all’infanzia oppure a ciò che ne restava. Diventare grandi in un attimo, lungo quanto il sibilo di un proiettile, non era un regalo da poco. Era la vita stessa. Un vero affare. Le labbra si increspano, si stirano a cerniera per l’orrore, l’incarnarsi delle sopracciglia, rompono la normalità. Rifiutano un quadro violento, uno stato di guerra. E si inizia a rovistare nel bidone delle miserie umane, a spiare nell’antro oscuro ed intimo del dolore altrui.
Nel libro Il cecchino e la bambina, del giornalista Francesco Di Mare, si avverte il dovere della testimonianza. Di raccontare come la morte violenta e la vita andavano a braccetto. La paura da sola non basta e la guerra non giustifica tutto. E’ necessario sfidare se stessi per sentire la vita nelle vene. Quel far finta di niente, quella folle indifferenza della gente di Sarajevo davanti ai cecchini, erano la semplice manifestazione di una ostinata volontà a restare uomini anche quando tutto, fuori, contribuiva a negare il senso stesso dell’umanità. Ci sono storie che sanno parlare della guerra e dei suoi effetti meglio di qualsiasi analisi politica. La faccia della guerra non cambia mai veramente. E’ fatta di odio, di morte, di paura. Si impasta nel ricordo delle vittime e nel desiderio, in chi resta, di andare avanti nonostante tutto. Sono storie che trovano poco spazio nei taccuini dei giornalisti, ma parlano, per sempre, di chi ha fatto i conti con la vita nella guerra, vivendo atroci violenze e momenti di altissima umanità