Non scholae sed vitae discimus
A 50 anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II, sinonimo di una vera e propria rinascita del sentimento religioso negli allora 900 milioni di cattolici sparsi nel mondo e di dialogo della chiesa con il mondo contemporaneo, non sembra un caso che il ministro della Pubblica Istruzione, Francesco Profumo, interpretando i segni del tempo, abbia avanzato l’idea di sostituire l’ora di religione con “storia delle religioni o Etica”, in un’Italia sempre più multiculturale.
E come è ovvio che sia, quando si interpella la scuola, la politica risponde e con la chiesa in ascolto, lo scontro è inevitabile.
Il ministro ha chiaramente spiegato come, secondo lui, l’ora di religione sarebbe suscettibile di modifica perché “l’insegnamento della religione, come viene concepita oggi, non ha più senso”. Sembra dunque ormai superata l’annosa polemica rinfocolata nel 2009 (ma che ha le sue origine già nel 2004) sulla presenza del crocifisso nelle classi, una polemica che oggi, proprio nel 50esimo anniversario del Concilio, andrebbe sicuramente reinterpretata.
La prima domanda che sorge spontanea in questa riflessione è: Qual’è la differenza fra Catechismo e ora di religione a scuola?
La domanda, e la mia riflessione in proposito parte dall’esperienza, avrebbe senso solo se in 13 anni di scuola dell’obbligo fossi riuscita a capire cosa stesse cercando di insegnare la mia docente. Perché mentre appare chiara l’utilità del catechismo, quale esposizione didattica della dottrina cattolica, di un percorso formativo e spirituale culminante con la somministrazione della cresima, il concetto dell’ora di religione mi è ancora oggi del tutto oscura.
Nella mia esperienza scolastica ricordo solo una lezione che abbia avuto veramente un senso e una sua utilità, una sola ora in 13 anni: l’approccio storico sulle encicliche papali riguardanti temi di attualità come la pace, la povertà e la fratellanza.
Allora, quando si riflette sull’utilità dell’ora di religione bisogna fare una dichiarazione di intenti: o insegnare genesi, tematiche, riflessioni e critiche sulla nostra religione di appartenenza o si ammette che quest’ora altro non è che l’intrusione del culto all’interno di un’istituzione laica.
La scuola ha il compito di insegnare ai ragazzi a vivere nel mondo, ad acquisire lo spirito critico necessario per partorire, socraticamente parlando, un’idea.
E se ancora gli adolescenti italiani non hanno possibilità di affacciarsi al mondo, è sicuramente il mondo che entra nelle loro classi e parla con loro fra i banchi di scuola. Nell’articolo di Vinicio Ongini, “Il paesaggio multiculturale della scuola italiana”, l’ ex docente di scuola elementare, oggi dipendente presso l’Ufficio VI, Immigrazione e presso la Direzione Generale per lo studente- MIUR, ha rilevato la presenza di 750.000 alunni con cittadinanza non italiana presenti nelle nostre scuole nell’anno scolastico 2011/2012, pari all’8,5% sul totale della popolazione scolastica. Crearsi un fortino ideologico di fronte a questa realtà è, a mio parere, un’impresa sostanzialmente inutile e sicuramente poco proficua nel contesto del dialogo e della solidarietà fra culture. Ecco allora l’urgenza di insegnare ai ragazzi che la religione cattolica, qualora la si voglia professare, fa parte della singolare esperienza di fede che non deve essere imposta agli altri, secondo quei principi di solidarietà e tolleranza religiosa riaffermati proprio da quel famoso concilio.
Ebbene precisare che non si tratta di semplice riconoscimento della libertà di religione, ma è una questione di dignità intellettuale, quella di riflettere e far conoscere le diverse esperienze religiose presenti nel mondo.
A coloro che accusano di relativismo questa posizione suggerisco di riflettere bene sulle parole che si pronunciano andando in chiesa: “Credo in un solo Dio”, rinnovando la nostra professione di fede, noi facciamo una scelta, la scelta di credere e partecipare attivamente al nostro orizzonte di senso, alla nostra personale esperienza del divino, che riconosciamo in Dio ”.
A tal proposito vorrei citare le parole del filosofo e teologo spagnolo Raimon Panikkar, tratte dal libro “L’esperienza di Dio”: «L’esperienza del divino non è solo possibile, ma anche necessaria affinché ogni essere umano possa giungere alla conoscenza della propria identità» e ancora, « questa esperienza non può essere monopolizzata da nessuna religione, nessuna cultura e da nessun sistema di pensiero». Queste riflessioni non sono lo sfogo di un ateo, anti-clericale, sono parole di un illustre sacerdote cattolico, una delle più autorevoli auctoritates di religione comparata del nostro tempo.
Se la scuola deve aiutare l’alunno e ancora più importante, la persona a crescere, essa deve passare anche dalla conoscenza di altre esperienze religiose, trattate con imparzialità e criterio, al solo scopo di illustrare la multidimensionalità della realtà e ad “allenarsi” ad una prospettiva di dialogo interculturale, più che “alienarsi” all’interno della propria cultura, lungi da qualsiasi propaganda. Per chiunque voglia percorrere il suo cammino di fede cattolica, il catechismo è sempre aperto, ma all’interno della scuola, in quanto istituzione laica, bisogna esigere la libera circolazione della conoscenza.