Non è Sulla Precarietà Che Si Costruisce il Futuro
Sembrano storie infinite. Pezzi di vita ricomposti per crearne una solida, nuova. Una vita che si mantenga in piedi da sola, con la forza dell’identità. Eppure all’inizio sembrano tutte cartoline segnate dalla sofferenza e dall’offesa, condizionate dall’incapacità di un sistema più lobbistico che meritocratico. I vincoli, i lacci non consentono di respirare ossigeno nel proprio Paese. Il mercato bello a dirsi è solo una triste caricatura del passato. In realtà, appare a molti una sanguisuga che succhia il sacrificio dei giovani laureati in cerca di lavoro, ma anche di quelli che si rimboccano le maniche per trovarne uno qualunque. Perché oggi il sogno di fare ciò che si desidera non è altro che un lusso! Quello stesso mercato, che prima lastrica le strade ai giovani e poi li spreme per abbandonarli infine ad un destino oscuro ed incerto, rende infelice la società che perde capitale umano sbilanciando creatività, innovazione e formazione.
Loro, i giovani, però non si lasciano morire. Non ci sono sconti di pena per chi si regge sulle proprie gambe. Restare nella propria terra spesso significa avvelenare il talento, la professionalità acquisita con anni di studio. Significa, anche in molti casi, barcollare di fronte ai tagli alla ricerca e davanti ai raccomandati di turno. E ce ne sono, eccome ce ne sono! Più di quanto si creda a volte. Avanzano sotto mentite spoglie per tranciare di netto le aspettative di quanti camminano da soli. Il loro sguardo fosco penetra nella nuca come un chiodo, per riprendere poi, a risultato ottenuto, la dolcezza dei lineamenti che gli consente di indossare meglio la maschera della leggera falsità sul palcoscenico della vita. Gli altri, tutti gli altri, quelli che non hanno aiuti, sponsor e potenti che li proteggono e li favoriscono, sono costretti alla fuga. Chi è del Mezzogiorno d’Italia prende la via del Nord o del Nord del mondo. Chi, invece, è del Settentrione scappa all’estero. I fisici e gli informatici sono i primi a prendere il volo. Quasi tutti con biglietto di sola andata. Chi studia legge o lettere difficilmente abbandona la madre patria. Il percorso per loro è un terno a lotto perché le loro lauree sono troppo inflazionate. Si salva chi può!
E così tornano alla mente foto ingiallite di un tempo lontano, ma poi non troppo diverso. Riaffiorano anche ricordi di valigie di cartone, di sogni realizzati e falliti, di vaglia incassati e di pasti saltati. Oggi i nostri ragazzi conoscono l’Erasmus, studiano all’estero, si interfacciano con culture diverse, hanno fame di lavoro e di esperienze. Hanno fame di certezze. Si sentono esclusi, non valorizzati. Presi in giro. Siamo dinanzi ad una generazione perduta? Quando un ricercatore, un talento, uno che ha voglia di farcela, lascia il Paese d’origine – quello dove è nato, investendo denaro e competenze nella sua formazione, ma anche speranze – e prende la via di fuga con in mano la voglia di uscire da un cerchio stretto e arrugginito, il nostro Paese perde intelligenze, capacità, innovazione, competitività. L’Italia fa un danno a se stessa. Il perché è semplice da spiegare: le innovazioni prodotte all’estero dai nostri cervelli saranno proprietà dei Paesi in cui sono state realizzate. E l’Italia a quel punto dovrà in qualche modo ricomprarle sobbarcandosi a nuovi costi ed a nuove spese. Possiamo ancora tollerare ciò? In tale contesto, le prospettive di realizzazione fanno la differenza. Se poi si aggiungono che all’estero gli stipendi sono decisamente più alti e le opportunità maggiori, il quadro è completo e sfavorevole per noi. Questo sin quando le cose resteranno così come sono oggi. Le mete forzate del lavoro per i giovani? Stati Uniti, Australia, Spagna, Germania. È del tutto evidente come i giovani in Italia non vogliano subire la recessione o peggio ancora la frustrazione di sentirsi professionalmente menomati. Il dolore pulsa forte ed a volte fa perdere la ragione quando l’impossibilità di emergere, pur avendo le capacità essendo anche figlio di nessuno, ti mette con le spalle al muro. Qualcosa si contrae nello stomaco: l’indignazione sembra schiacciare la voglia di farcela, ma così non è ed ecco, allora, che la fuga dai luoghi natii diventa una necessità anche se dolorosa. L’Italia purtroppo è il Paese delle corporazioni, basate sui privilegi, sull’appartenenza alla casta e sulla mancanza di trasparenza. In un momento in cui si discute di licenziamenti facili c’è gente che un posto di lavoro non ce l’ha, oppure l’ha perso perché oggi la situazione del Paese è traballante. C’è da rimettere in moto l’economia dell’Italia, è ovvio. C’è bisogno di dare fiato alla ripresa, ma prim’ancora e prima di tutto va ricostruita la fiducia in quel grande capitale umano ed intellettuale fatto di giovani a cui stiamo consegnando un domani peggiore di quello dei loro padri come se la storia, in questo caso, non fosse stata matrice di progresso e di miglioramento.