L’uncinatrice di occhi
Cavava gli occhi ai prigionieri. Li torturava e li derubava. Andava a caccia di musulmani e croati nel campo di detenzione di Luka, a Sarajevo, negli anni della guerra civile nell’ex Jugoslavia. Portava via lo sguardo spegnendo la speranza di libertà, di riscatto. Strappava gli occhi con un uncino, senza pietà. La sua ferocia era chiusa in un corpo da bambina.
Aveva undici anni e di innocente aveva solo il nome, Monica Simonovic Ilic. Per tutti era la “ragazzina mostro”. La baby aguzzina, tanto crudele quanto spietata, si nutriva di odio, entrato nelle sue viscere prima ancora della guerra. Un’infanzia, la sua, strappata con cattiveria, posseduta per vanagloria prima e per vizio poi. La madre Vera gestiva un bar-bordello. In quel ricettacolo del sesso numerose donne musulmane e croate furono stuprate.
Monica Simonovic Ilic braccava le sue vittime come lei veniva braccata dalle mani unte e dal puzzo rancido degli uomini. Si muniva di uncino per prendersi gli occhi di una razza che non le apparteneva, che rifiutava. Nel 2011, per la “ragazzina mostro” scattano le manette. Ha trentasei anni quando la polizia serbo-bosniaca l’arresta per crimini di guerra contro civili.
Negli occhi della Simonovic l’odio. Forse per lei non c’era spazio per nulla o per nulla di buono. Divorata da una efferata crudeltà spegneva lo sguardo di chi riconosceva come il seme malato da schiacciare e dominare. Forse, avrebbe voluto vedere il riflesso di ciò che ha visto, vissuto, sentito dentro. Non sapremo mai perché tanta ferocia nelle mani della “ragazzina mostro”. Di una bambina deviata, disturbata, malata, cattiva. Di certo, non dimenticheremo una tragedia nella tragedia al centro di un conflitto senza pari, tra parti civili.