Luce d’ambra su Aninot
La guerriera ha l’arco nel fango, il suo scudo ammaccato è a terra lontano e lei non ha la forza per riprenderlo. Gli altri avanzano contro l’accampamento di Achille, nessuno si è accorto che Aninot è rimasta indietro, disarcionata dal suo fedele compagno fuggito via verso la radura. Tutto le sembra offuscato; la ferita tra le costole le fa male. Ha perso molto sangue e le forze iniziano a venir meno. I capelli macerati di sudore sono appiccicati sul volto trasfigurato dal dolore. Invoca la clemenza degli dei e lei sua protettrice implora di morire non da codarda: -Oh Diana dammi la tua forza. Ridona potenza al mio arco. Fà che non muoia senza l’onore delle armi.
La vista le si annebbia, l’arsura della morte le rende difficile il respiro. Non vuole cedere al volere degli inferi. Stringe i pugni, serra i denti e anche se il suo corpo trema come un fuscello, alza la testa e guarda con i suoi occhi neri il cielo. Un piccolo raggio buca le nuvole e illumina il suo portafortuna, un pezzo di resina d’ambra. Un dono fattole dal padre quando era partita dalle sponde del Mar Nero, in Cappadocia. La luce dorata le illumina il viso e sente entrare in lei una forza divina. Affonda le mani nel fango e si rialza. Un nitrito la fa sorridere, Mesithos le si avvicina abbassando il corpo e scuotendo la sua nera criniera. Recuperato lo scudo e l’arco, raccogliendo le poche forze, sale sul suo destriero. Il sole squarcia le nuvole dando il tepore dei suoi raggi. Aninot alza il suo arco per ringraziare gli dei. La vita le è ancora amica, lancia il suo cavallo al galoppo, non ha tempo, deve andare, prima che Atropo recida il suo filo.
Va guerriera, vai e scrivi il tuo nome nell’illusione di questo tempo.