Io Non Sono Bamboccione, Sono Sfigato
In verità sono entrambe le cose. Il fatto che io dorma in casa dei dopo aver conseguito la laurea mi fa rientrare pienamente nella categoria dei bamboccioni, quella stigmatizzata dall’ex ministro Padoa Schioppa nel lontano 2007. Non contento del mio status, essendo laureato ad aprile 2011 ed avendo compiuto 28 anni un mese prima, tecnicamente sono pure sfigato, come mi comunica Michele Martone in veste di viceministro del lavoro. Beh, pensavo peggio.
Il tema è ricorrente ed è bello constatare che ogni governo in carica si prenda la briga di offendermi. Anche il Ministro Renato Brunetta a suo tempo aveva pensato di dire la sua opinione in merito, con un’idea davvero illuminante “Fare una legge per far uscire di casa i ragazzi a 18 anni, una norma che obbliga i nostri figli a diventare indipendenti”. In effetti a questa soluzione ci avevo pensato anche io e a 16 anni mi ero ritirato dalla scuola superiore sognando di guadagnarmi l’indipendenza dai genitori facendo l’elettricista. Meno male ho cambiato idea, ho deciso di fare le superiori e con l’appoggio dei miei genitori, ho deciso per l’università. Pensare che quando nel 2007 il tema dei bamboccioni fu proposto da Padoa Schioppa, l’epiteto mi aveva lasciato abbastanza impassibile vista la mia condizione di ventiquattrenne , laureando fuori sede nel pieno del fervore intellettuale universitario.
Per chi non lo ricordasse, nel 2007 era in atto la modifica del vecchio ordinamento degli studi con l’introduzione delle lauree triennali e specialistiche, delle classi di laurea e dei crediti formativi che (si diceva) avrebbero ammodernato tutto il sistema e quindi (si diceva) aperto a nuove prospettive di inserimento nel mondo del lavoro. Proliferavano i corsi universitari dai nomi altisonanti e noi “studiosi della comunicazione” sembravamo addirittura i precursori di una società in evoluzione. Una società in cui (si diceva) il web avrebbe riqualificato la relazione tra azienda e consumatore, tra politici e cittadini, tra amministratori e amministrati. Un periodo in cui lo stesso Ministro dell’Economia osava dire “le tasse sono belle”, mentre annunciava detassazioni sull’affitto per gli under 30 per invogliarli a uscire da casa. Ero galvanizzato. Non poteva essere la mia generazione quella dei bamboccioni, come confermano le parole della professoressa di sociologia che alimentava i nostri sogni dicendo: “Voi sarete la nuova classe dirigente”.
Troppa grazia, pensavo, mi basterebbe un lavoro che mi permettesse di crescere professionalmente, pagato adeguatamente, la possibilità di pagarmi un affitto e semmai di poter mettere da parte qualcosa per pensare qualche progetto di vita. Poi ieri, ho scoperto sul giornale di essere sfigato e tutto si spiega. Perché se mi fossi laureato a 24 anni in materie economiche o scientifiche allora sarei stato giusto, oppure se avessi un qualche talento incredibile avrei avuto qualche chance di superare brillantemente la recessione, ma così no. Se Martone me lo avesse detto prima non avrei perso tempo con collaborazioni e progetti per fare curriculum, avrei lasciato perdere il lavoro come cameriere e come imbianchino per pagarmi un po’ della retta della laurea specialistica, avrei ignorato i 6 mesi all’estero in Erasmus e mi sarei fatto partorire da mia mamma in settembre in modo da avere qualche mese in più per laurearmi entro i ventotto anni. Purtroppo però tutti quelli che mi dicevano che l’economia stava crescendo, i professori che dicevano che il mercato del lavoro avrebbe cercato disperatamente professionisti della comunicazione, che le nostre costose rette universitarie garantivano una preparazione eccellente, tutti loro non erano Michele Martone e non me l’hanno detto.
Allora mi ritrovo in camera mia (legalmente dei miei genitori) con la laurea in mano, il portatile acceso sugli annunci che cercano stagisti non retribuiti, articoli che parlano di recessione, di flessibilità, tassi di disoccupazione in crescita e penso davvero che la mia sfiga…sia stata di non essere andato in Danimarca. Oppure chissà, che non avesse ragione Brunetta, era meglio che andassi a lavorare per rendermi indipendente a 18 anni e lasciassi studiare chi poteva permettersi una casa e l’università, senza lavorare.