In mostra l’indicibile attraverso il detto: la genialità di Bene
Per capire un poeta, un artista, a meno che questo non sia soltanto un attore, ci vuole un altro poeta e ci vuole un altro artista…diceva il genio salentino Carmelo Bene. E forse l’artista c’è, il poeta della fotografia che riesce a tradurre in immagini la folle genialità dell’artista a tutto tondo. Si chiama Claudio Abate. Romano, classe 1943. Collabora sin da giovanissimo con i Maestri del tempo, e negli anni Sessanta diviene il testimone del teatro d’avanguardia di Carmelo Bene. Da tanti il fotografo è definito “il testimone oculare” del fermento artistico del decennio ’60/’70. Sono del 1963 gli scatti del Cristo’63, il maledetto spettacolo la cui rappresentazione è causa della chiusura del Teatro Laboratorio. L’attore Carmelo Bene fu condannato in contumacia perchè il Giovanni Apostolo urinò sopra la testa dell’ambasciatore argentino. Tuttavia le foto di Claudio Abate, quelle benedette foto riuscirono a scagionarlo. Così, a dieci anni dalla scomparsa dell’autore, attore, regista di teatro e cinema, scrittore e poeta, insomma dell’uomo geniale di nome Carmelo, Il Palazzo delle Esposizioni di Roma consente a chi è spettatore di catapultarsi nella “macchina attoriale” del salentino, oltre le stesse immagini in bianco e nero, al di là dell’archivio fotografico dell’Abate. Chi osserverà, diventerà altro. Sarà il Cristo ’63, Salomè, Oscar Wilde, il Faust, Margherita, Pinocchio, Don Chisciotte. Gli scatti riemergono grazie ad un lavoro di ripristino. Non mancano le immagini a colori, acquisizioni digitali da diapositive, stampate a getto d’inchiostro su carta baritata. Tutto è in relazione, ogni cosa si muove in direzioni ostinate, parallele, in un infinito incontro, una mano che ci accompagna nella dimensione scenica inventata da Bene. Le foto/opera di Abate ci consentono di entrare a piedi nudi nel fantastico mondo dell’artista e come scrive Jean-Paul Manganaro nel catalogo della mostra, negli istanti particolari nei quali egli “ha assunto la potenza delle sue decisioni sceniche”. E percepiamo “l’eccezionalità di un teatro o di una scena come locus solus dell’attore in cui vibrano già le forme, le luci e le ombre che saranno sempre quelle di Carmelo Bene, riproposte come programma di rielaborazione e ricerca costante”. Indimenticabili le parole del genio: “Il mio epitaffio potrebbe essere quel passaggio di Sade: mi ostino a vivere perché anche da morto io continui a essere la causa di un disordine qualsiasi”. Quelle benedette foto!, esposte dal 4 dicembre sino al 3 febbraio del 2013, potranno regalarci quel raggio di luce e ombre dell’immenso disordine interiore che solo un uomo come lui potrebbe possedere, perchè se lo spettatore deve abbandonarsi all’ascolto, non solo l’orecchio ma anche l’occhio è ascolto, siamo pronti a udire.