Il Braccio Violento della Precarietà
Sono i nuovi acrobati di un’Italia in ginocchio. Non eseguono salti protetti da una rete, perché molti di loro sono già caduti nella rete della precarietà. Del lavoro incerto e per brevi periodi. Delle speranze che si aggrappano al calendario ed alla proroga di un contratto a termine. Un denominatore comune lega i precari del nostro tempo. Tutti, o quasi tutti, fanno salti mortali per andare avanti, per arrivare alla fine del mese, per avere un lavoro. Hanno nomi diversi e storie simili in una Italia che la crisi ha reso ancor più diseguale, dove il Sud soffre di più, unendo a ritardi e problemi antichi anche quelli derivati dalla recessione.
Ma chi sono i precari degli anni 2000? Sono giovani e meno giovani, padri di famiglia e bamboccioni. Ci sono quelli che vivono il coma della disoccupazione, quelli che dormono il sonno malato di un’occupazione precaria, ed altri che sopravvivono, e basta. Arrangiandosi. Lavoricchiando. Sbarcando il lunario come meglio possono. Ogni giorno questa gente, quest’universo dolente e pur tuttavia popolato ancora da speranze, combatte l’uomo nero. Laddove quest’ultimo è rappresentato dai conti che non tornano, dalle spese da affrontare, dalle famiglie da mantenere. Incombenze di vita quotidiana, la normalità si direbbe. Quella normalità che appartiene più al passato, non ad oggi, quando la crisi falcidia posti di lavoro, redditi, risparmi e chi era già fragile, lo rende fragilissimo e senza protezioni e difese rispetto ai venti della crisi.Tutti, i precari dei nostri tempi, si rimboccano le maniche come possono e per quello che riescono a trovare. In molti casi ricevono porte chiuse in faccia, in altri educati rifiuti e pacche sulle spalle. E così continua il giro di vite in una vita capovolta.
I sogni non sono più desideri, ma necessità. Quelli di un lavoro vero, sicuro. Di una situazione stabile e non precaria che alita fiato di abbandono. Cosa dovrebbero fare i lavoratori per prendere le misure dal marcio, dal male sommerso, quello che non fa rumore e si irrobustisce in una colata di crisi che stritola e soffoca anche i pensieri più genuini? Si è orfani di una risposta vera se si considerano le migliaia di storie personali, di legami, di vincoli, di sofferenza ed aspettative. Ognuno in cuor suo sa cosa dire. Il problema è riuscire ad ottenere ciò che spetta di diritto. Un lavoro. Oggi sembra un miracolo. La gente cerca di rimettere ordine nella propria vita, tumultuosa, fuori misura. È pronta a raccogliere la sfida, per allontanare la puzza di zolfo che si addensa nei cuori.
I precari stanno male perché vivono male accanto a datori di lavoro evanescenti e poco identificabili. I lavoratori non hanno una identità in quelle grandi imprese, in quegli enti pubblici che offrono contratti e compensi diversi rispetto ai colleghi che sono in servizio negli stessi uffici da più anni. Non hanno uguali diritti pur svolgendo identiche mansioni. Il potere contrattuale, in tempi moderni, ha valore per pochi eletti. Pochissimi ce l’hanno. Perché è cambiato il valore degli stipendi, la loro stessa entità. I precari subiscono anche le condizioni di ricatto. La frase che spesso si sentono dire ha l’odore pungente della varechina: “Guarda che se non ti sta bene, quella è la porta. C’è la fila fuori”. E quando l’ascoltano questa frase è un ulteriore colpo alla vita, ai sogni, al proprio divenire. Che si può accettare curvando la schiena oppure reagendo e cercando di meglio. Se c’è.
I precari subiscono per lavorare. È stato sempre così? No. Oggi lo è di più. Dove si è addensato la maggior parte del lavoro precario sarebbe opportuno implementare un piano di assunzioni trovando anche un sistema per cui all’impresa risulti conveniente assumere in modo stabile e sfavorevole tenerlo nel precariato. Lo dicono in tanti: il lavoro stabile, il posto fisso, deve costare sotto l’aspetto fiscale e contributivo, di meno rispetto al lavoro saltuario. Non si fonda una vita, né si offrono prospettive ad una generazione con i contratti a tempo determinato. Oggi l’ingresso al mondo del lavoro si presenta come una scalata impervia. Dura, impossibile, faticosa. Ai limiti purtroppo dell’umana possibilità anche se è proprio la creatività dell’uomo che dovrebbe esaltare il lavoro. Si gira e rigira, a vuoto. Giovanissimi, giovani, meno giovani, sono alle prese con la precarietà al diritto al lavoro, ma anche al progetto di futuro. Come mettere su casa, lasciare la famiglia, crearne una propria. È folle chiedere ed avere questo? Oppure è da stupidi desiderare anche cose banali: decidere di fare un viaggio, iscriversi ad un corso sapendo che si potrà pagarlo e frequentarlo sino alla fine, fare un muto per la casa. A voi la risposta, sincera. Il tempo di tutti è adesso, non domani.