Generazione Post: 13 storie e la voglia di correre…
Ha le onde del nostre mare di inverno, quando la tramontana non smette di soffiare, al posto dei capelli. Riccioluto e occhialuto. Vive in simbiosi con il suo cellulare, testa china sul display dell’informazione, per conoscere e per regalare qualche sua riflessione. Incontrandolo per strada, giacca e camicia o maglietta a maniche corte anche nei più rigidi inverni, Paolo Paticchio ti abbraccia con il suo sorriso da ventisettenne, che ha fame di vita, qualità e giustizia.
Conoscendolo da tempo, stento a credere che abbia “solo” quegli anni addosso. E ovviamente non parlo del suo aspetto fisico. Con leggerezza e potenza allo stesso tempo, riesce sempre a ritrovare il capo del filo del matassone, per ogni occasione in cui siano i diritti, i doveri, la giustizia, la politica con la P maiuscola a regnare. Da anni ci mette i capelli, oh pardon, la faccia. E non solo lui.
Da anni crede che il Paese sia diverso e debba essere differente da come è tenacemente dipinto.
L’apparente o sostanziale distanza dai Palazzi del potere viene mitigata da una società formata da formichine laboriose, giovanissimi, giovani e meno giovani, che insieme vanno al di là delle sterili lamentele contro un mondo ingiusto, contro generazioni passate che affossano il presente, e si danno da fare. Parole. Fatti. E così si crea, progetta, combatte, spera e sogna. Quando le idee diventano progetti, alla base della loro creazione e realizzazione c’è sempre un sogno di un uomo. Sono gli uomini che fanno la storia, uomini normali grazie ai quali il nostro mondo è cambiato e continua a farlo. Basta osservare. Il nostro Paese, si sa, si ama e si odia, è lo specchio delle contraddizioni dell’animo umano. Un giorno ti stimo e l’altro sei il mio miglior nemico. Caino e Abele dell’anima mia. E’ l’unico posto in cui in vita e in morte una stessa persona può diventare altra, apprezzata e denigrata, umiliata e stimata. Come successe per Giovanni Falcone. “Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia sia stata tradita con più determinazione e indignità”, diceva Ilda Boccassini. Nonostante innumerevoli bocciature pubbliche, nonostante tutto, Falcone non ha mai smesso di sognare e credere nella possibilità di vivere in un Paese diverso, in cui tutti possano essere felici grazie all’applicazione del diritto.
Come lui, come la sua storia, tante altre.
13 il numero perfetto.
“Tredici sono le storie raccontate da 13 under 40 di diversa formazione e con diversi ambiti d’interesse, accomunate dall’essere pugliesi e tutte cresciute nel “mondo nuovo” dopo l’89, dalla caduta del muro di Berlino, immersi in una realtà mutata”. E’ da lì che si vuole partire. Mercoledì 24 aprile (ore 18.30 – ingresso gratuito) i Cantieri Teatrali Koreja di Lecce ospitano la presentazione ufficiale del libro POST – 13 storie dopo l’89 che non sapevano di diventare mito (Lupo Editore) a cura del ventisettenne Paolo Paticchio, che spiega: “La nostra generazione, quella che ha compiuto i vent’anni ed è prossima ai quaranta, è spesso accusata di disorientamento, di assenza di punti di riferimento. Ma è proprio vero che questi giovani adulti sono privi di spunti a cui attingere per interpretare, criticare, cambiare il proprio tempo? O di maestri da assumere a modello per agire? Queste tredici storie – le nostre, le prime di un libro non finito, un input da raccogliere e sviluppare – sembrano dimostrare il contrario”.
Piccola e determinata, taglio corto alla moda e occhi chiari immensi, Laura Preite prova pudore a raccontarsi. “Quando mi hanno chiesto di pensare ai miei punti di riferimento ho avuto un blocco. Non riuscivo a dare un nome o più nomi alla mia crescita. Poi è diventata una sfida ed è in quella occasione che ho deciso di parlare di Monicelli. Non un divo, non una star da maglietta, non un mito, ma un uomo che ha saputo raccontare con la lucidità e onestà il mio Paese e che con la stessa onestà ha scelto come andare via. E’ uno dei miei fari, una piccola fiaccola che può servire ad illuminare un pezzo del percorso che questa nostra generazione sta tentando con fatica di costruire”.
E poi c’è Tatiana, scienziata politica leccese che sceglie di vivere a Roma per completare gli studi e vivere di formazione, quella che si fa ogni giorno, tra le difficoltà che una città come la capitale italiana offre e la disillusione di noi tutti nei confronti di tutto, nelle scuole, tra i ragazzi, a parlare, a capire e far capire, a osservare un fenomeno e dargli un nome: MAFIA.
“Scrivere di Luigi Ciotti non è stato solo scrivere una storia.
Immagino Luigi come un lento tessitore che raccoglie tutte quelle esperienze di cittadinanza responsabile di cui il nostro Paese è disseminato. Un lento tessitore che ha saputo cucire una rete con fili talmente diversi tra loro, che solo una volontà profonda ha potuto mantenere uniti nel tempo. La scommessa di Luigi è stata quella di credere fino in fondo che una nuova forza generatrice deve essere composta da adulti e giovani insieme, accompagnarci verso un vero impegno responsabile”.
Insomma, non resta che partecipare, domani e ogni giorno. Perché in fondo le storie degli altri ci appartengono.