Dall’Impotenza Appresa…all’Empowerment
Ti è mai capitato di sbagliare qualcosa… di riprovarci e ma non riuscire proprio a farcela e convincerti che non ci riuscirai mai e poi mai? E’ quella che lo psicologo americano Martin Seligman chiama: impotenza appresa.
Martin Seligman è famoso per essere lo psicologo che ha creato la psicologia positiva.
Ecco com’ è nato il suo studio: Seligman contrario alle teorie comportamentiste, in modo particolare contro quelle di Skinner, ha ideato un esperimento barbaro ma ingegnoso. Ha diviso una gabbia elettrificata in due parti…che chiameremo parte A e parte B.
Ci ha messo dentro dei cani.
La parte A della gabbia, veniva elettrificata…e in poco tempo i cani imparavano a saltare nella parte B in modo da far cessare la scossa. Ma se tutta la gabbia veniva elettrificata i cani, dopo aver provato a fuggire la scossa, si accasciavano per terra con la sensazione di impotenza.
Se agli stessi cani si continua a far provare questa sensazione, sembra che apprendano a rinunciare e per questo si parla di “impotenza appresa”. Il brutto è che la rinuncia si presenta anche quando i cani potrebbero far cessare la scossa.
La stessa cosa accade negli esseri umani; sono stati fatti studi attraverso rumori fastidiosi e altri metodi sperimentali e la conclusione è solo una: credere di non potercela fare diventa una profezia che si auto-avvera. In fondo il pessimismo è proprio una forma di impotenza appresa e naturalmente la cura è proprio l’ottimismo appreso!!
Concludendo: nasciamo completamente impotenti e più cresciamo, più otteniamo “controllo personale”… e
il nostro ottimismo può diventare realistico.
La condizione psicologica opposta a quella dell’impotenza appresa è definita come empowerment.
Se da una parte le persone sperimentano l’inefficacia o la fallacia delle proprie azioni rispetto ad un particolare evento ed imparano che, qualunque cosa faranno in futuro relativamente a quell’evento, esso non produrrà l’effetto desiderato, dall’altra empowerment significa “attribuire potere”. Incrementare in un soggetto la percezione di controllo su ciò che accade, autorizzare, permettere, mettere nelle condizioni di agire.
La confusione attuale che caratterizza l’uso del termine empowerment, deriva dal suo essere stato adottato per denotare fenomeni diversi, identificando contemporaneamente un modello culturale (per esempio un insieme di valori o di principi), un costrutto psicologico, una caratteristica del soggetto, un processo operativo ed un approccio applicativo.
In generale, un intervento di empowerment agisce sulla dimensione psicologica personale del singolo, proponendosi di affrontare i suoi problemi partendo dai suoi punti di forza e rafforzando le sue competenze, ma anche sulla dimensione sociale dell’esperienza umana, secondo una prospettiva circolare: se le singole persone empowered contribuiscono a rendere più competenti i gruppi e le reti a cui partecipano, queste a loro volta offrono nuovi stimoli alle persone che li frequentano.
In quest’ottica, il concetto di empowerment contiene in sé, sia il riferimento all’autodeterminazione individuale che alla partecipazione alla vita di comunità; traducendosi, dunque, sia nel senso di controllo personale sia nell’influenza sociale.
Per comprenderne il significato occorre pertanto andare oltre l’individuo, considerando come sia intrinsecamente implicata nel concetto di empowerment una relazione di
potere/influenza con l’ambiente, con l’altro, con la comunità.
L’empowerment consiste perciò in un processo di accrescimento del potere interno dei soggetti, del loro protagonismo e della loro capacità di incidere, con azioni concrete, sui contesti di vita. Allo stesso tempo, è la risultante della combinazione di complessi processi cognitivi e motivazionali. Fa riferimento alla percezione di controllo sulla propria vita del soggetto e alla partecipazione alla vita del proprio territorio, qualificando il cittadino come “membro attivo”.
Sentito parlare mai di “cittadinanza attiva”?