Alla scoperta dei Balcani martoriati vent’anni dopo la guerra
Imbarco a Bari direzione Dubrovnik.
Prima le auto poi le moto. Legata stretta perché non cada. Quanto smog in quei garage dei traghetti; basta varcare il portellone perché il bruciore di stomaco mi assalga. Sembrerebbe aver memorizzato la sensazione sgradevole dagli anni precedenti, tant’è che non faccio in tempo ad inspirare neanche una volta, che già “lui” risale affacciandosi alla foce della faringe a ricordarmi che me la cerco ogni anno sta storia di masochistica sofferenza. Viaggiare in moto senza prenotazioni alberghiere né cadenze certe negli spostamenti può sembrare folle; in realtà molto meno di quanto possa apparire. Navigatore, cartine specialistiche per motociclisti ed equipaggiamenti, rendono tutto molto sicuro ed è così che, dopo un gran numero di precedenti esperienze in solitaria ho deciso di avviare anche mio figlio all’avventura su due ruote. Dodici giorni condividendo la sella per tremilacinquecento chilometri attraverso le frontiere di Croazia, Slovenia e Bosnia compresa una breve incursione italica attraverso Trieste per assistere al concerto dei Foo Fighters nella magnifica cornice di Villa Manin a Codroipo.
Lo sbarco mattutino a Dubrovnik ha il sapore unico della storia. Un gusto ben definito che pervade l’animo osservando la Perla dell’Adriatico dal ponte della nave. L’ho vista e goduta prima della guerra, l’ho rivista sfregiata anni dopo; la ritrovo splendente nell’agosto del 2012. In mezzo, una folle guerra che partita ben più a nord, si spinse fin qui a sfregiare la città che più di tutte costituisce la porta dei Balcani. Un grande falò l’avviluppò sotto i cannoneggiamenti dei Serbi. Nessun rispetto per gli uomini, nessun Timor Dei che attraverso l’arte si fosse palesato a fermare le dita sui grilletti di quanti le spararono addosso.
Proseguendo a nord verso Spalato, è protagonista la natura in tutte le sue forme. Il verde delle montagne si specchia nel blu cobalto dell’Adriatico e l’ombra delle nostre figure in sella alla motocicletta sembra galleggiare su un palcoscenico mozzafiato. Morbide curve e adrenalinici tornanti si alternano mentre risaliamo la costa attraverso i terrazzamenti che sostengono la statale. Ogni giro di fiordo è una meravigliosa sorpresa. Infine Spalato. Tempo d’attesa 3 minuti fermi al porto turistico e l’anziana col cartello “zimmer” già pronta a negoziare il prezzo della stanza per la notte in un perfetto rituale da mercato rionale. Un ferragosto padre e figlio fra spiaggia e discobar, se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto.
Spalato col suo lungomare, il porto ed il mausoleo intimamente raccolti a presidiare il magnifico Palazzo di Diocleziano al centro della vita cittadina. Spalato modaiola, elegante e raffinata tanto da far pensare che l’identità italiana sia rimasta ancora viva sebbene l’esodo del dopoguerra ne abbia ridotto la presenza a poche centinaia di individui.
La motocicletta scalpita e noi con lei. Dalmazia alle spalle e Slovenia nel mirino, salendo e scendendo dalle isole costiere fra viadotti e chiatte che in 10 minuti ti traghettano da e per la terraferma pervasi dalla frenetica voglia di non volersi perdere nulla di ogni fiordo, isolotto e merletto. Tappa a Sibenik, Rijeka e Trieste prima dell’agognato concerto di Villa Manin. Giusto il tempo di riprendere a pensare in italiano e via per Ljubljana attraverso 100km di boschi incontaminati.
Arrivati in città, la frenesia si placa e la stanchezza s’affaccia giusto a ricordarci che siamo a metà del viaggio e nel punto più lontano dell’ovale che ci siamo prefissati di percorrere per rientrare a Dubrovnik dal nord della Bosnia. Ljubljana è un gioiello d’architettura barocca e art nouveau. Romantica nelle sue atmosfere, risente di tutte le influenze del più nobile trilatero d’Europa costituito dalle città di Venezia, Vienna e Budapest all’interno del quale si annida e sviluppa. Città dai mille festival e concerti, ci ha sedotti e invitati alla calma con i suoi eccellenti ristoranti ed in generale con un senso di accoglienza inaspettato. Stabile e fieramente Europea, culturalmente evoluta, non reca tracce del sanguinoso conflitto balcanico, sebbene la Slovenia sia stata la prima regione dell’ex Jugoslavia a dichiararsi indipendente con un referendum plebiscitario. Il tentativo dell’esercito di Belgrado di riannetterla durò soltanto 10 giorni e la perdita di “appena” 80 vite umane sembra quasi irreale rispetto al prezzo che da lì in poi pressoché tutte le città della federazione avrebbero pagato.
Fin qui il bello; la costa, le città d’arte, l’architettura e la natura incontaminata. Più su fino a Zagabria, solo sfiorata prima di tuffarsi negli inferi della Bosnia Herzegovina attraverso Banja Luka. Già dal confine Sloveno/Bosniaco il panorama cambia radicalmente. Due Mig a velocità supersonica sembrano sfiorarci i caschi lungo la frontiera prima di impennarsi verso il cielo in un pazzesco verticale da manuale dell’acrobazia aerea! Scioccati come due bimbi al circo, stentiamo a riprenderci dalla scena guardando avanti, giusto in direzione di una trafila di case di confine sventrate e annerite come fosse accaduto ieri. Lo sguardo di mio figlio attonito come nessun monumento, isolotto o scorcio da cartolina lo avesse nei giorni precedenti impressionato quanto i segni potenti della cattiveria umana rappresentata da quelle case di frontiera. Nei giorni successivi, solo un crescendo di visioni spettrali di paesini devastati e mummificati da vent’anni, lungo la Neretva che col verde delle sue acque e della vegetazione lussureggiante, a malapena riesce a mitigare la vertigine dello sgomento. Perché un viaggio a due facce così emozionalmente diverse? Forse perché una discesa programmata dal Paradiso all’Inferno e risalita, aiuta ad apprezzare la vita più che ogni altro tentativo di rappresentarne l’audace avventura umana.
In direzione Sarajevo, colti da un improvviso acquazzone estivo siamo stati costretti a riparare nel primo albergo utile di un paesino chiamato Donji Vakuf. Camere e Hall cristallizzate dal tempo, come se le lancette dell’orologio si fossero fermate a quei giorni di giugno del 1995 quando i filmati su youtube raccontano l’accanimento dei cannoneggiamenti sulla moderna facciata dell’albergo e l’adiacente piccola moschea dalla cupola blu. Tutto perfettamente in ordine ma desolatamente vuoto, quasi ad attendere un nuovo giorno che tarda a venire da 18 anni ormai. La sera, complice la pioggia, ci siamo ritrovati lungo la statale principale che taglia il paesino ad osservare e fotografare surreali vetrine di “moda” e lampeggianti malinconiche insegne al neon che si rispecchiano sull’asfalto bagnato. Tutt’intorno, un isolamento luminoso e acustico nel quale si potevano percepire chiaramente solo i passi di una comitiva musulmana di uomini e donne appena uscita da una moschea, incamminatisi frettolosamente verso le rispettive dimore. Poco dopo, scoccavano le 23 e il muezzin dichiarava chiusa la giornata di preghiera dal megafono in cima al minareto. Pochi istanti ancora e le luci verdi che lo adornano si sarebbero spente stagliandone la buia silhouette sulle montagne circostanti.
Il giorno seguente, ancora tanti chilometri d’asfalto fra le montagne a separarci da Sarajevo ma con l’assidua compagnia del fiume Neretva e le incontaminate oasi naturalistiche che ne cadenzano il lungo percorso verso il mare. Una volta a destra e l’altra a sinistra dietro ogni tornante ad attenderci e riempirci l’animo con la maestosità del suo letto e l’eleganza delle sinuose curve con cui l’acqua verde e cristallina disegna il percorso nel ventre della Bosnia Herzegovina. Solo un viaggio su due ruote e faccia al vento può cogliere l’intima essenza di un territorio; solo i profumi e i vividi rumori possono integrare l’esperienza visiva e renderla perfettamente compiuta.
L’ingresso a Sarajevo mentre zig-zag-hiamo nel traffico caotico, conferma la percezione di una città ed una nazione in lento cammino verso la normalità. Lungo il tristemente noto “Viale dei cecchini”, agli imponenti edifici di nuova costruzione, fanno da contraltare le facciate dei palazzi ancora crivellate dai colpi di mortaio e dagli immensi buchi nel cemento lasciati dalle palle di cannone come iconici, indelebili tatuaggi. Servissero a monito futuro, ci si potrebbe persino abituare a considerargli parte integrante del paesaggio. La sorprendente vitalità dell’antico e più volte incendiato e risorto suk, testimonia fortunatamente la speranza che la città più martirizzata d’Europa voglia ancora una volta riappropriarsi dell’appellativo di crocevia dei popoli fra Oriente ed Occidente. I volti sicuri e consapevoli delle adolescenti incastonati nei chador, con i testi scolastici in una mano ed il cellulare nell’altra, sembrano narrare una voglia di riappropriazione del proprio destino talmente forte e decisa da non ammettere dubbi su un futuro diverso e certamente luminoso. Nema Problema ripetono …Nema Problema! Quasi a voler esorcizzare quel che è stato. Vent’anni son tanti ed anche pochi. Ci penso e ne discuto con mio figlio che ancora stenta a credere a quel che sta osservando, ma conviene con me nel sentirsi un privilegiato nel poter registrare così tante disorientanti quanto formative visioni nel suo primo viaggio da quasi adulto.
Infine Mostar e il ponte simbolo ricostruito. Osservandolo nella sua imponenza dall’apice di un minareto, ti chiedi come abbiano fatto a buttarlo giù e provi a immaginare il momento in cui l’ordine perentorio di abbatterlo sia arrivato all’orecchio dei soldati Croati preposti all’operazione di cannoneggiamento; cosa avranno pensato, se ancora un barlume di saggezza gli abbia sfiorati anche per un istante o se la cecità della follia umana gli abbia trovati cinicamente pronti e preparati ad agire in barba al mondo che dalle immagini trasmesse dalle tv satellitari, osservava infame senza alcuna volontà di intervenire, sofferente eppur protetta la coscienza dalle stucchevoli quanto ridicole dichiarazioni di invito al cessate il fuoco.
E’ l’ultimo giorno di viaggio. La nostra Multistrada si è comportata benissimo come sempre e noi per ricompensarla, le regaliamo gli ultimi 200 km di curve allegre fra i merletti della costa croata; stanchi ma stregati da tante emozioni contrastanti, ci avviciniamo all’imbarco della jadrolinija nel porto di Dubrovnik, direzione Bari. Arrivederci Balcani. Nema Problema …davvero Nema Problema.