27 gennaio: UN RICORDO SCOLPITO NEL CUORE
I bambini piangono spesso.
E’ facile ricordare il loro pianto. Ma gli adulti no. Sono lacrime silenziose, che squarciano il volto già tagliato dal freddo pungente. Ci sono occhi che non osserveranno più il mondo. Pianti che non si udiranno. Dachau, Mauthausen Auschwitz, Chelmno, Ravensbruck, Fossoli. Sotto lo stesso cielo, alzo lo sguardo e ricordo. Scarpette, minuscole scarpe di chi non correrà, non intraprenderà la strana strada della vita. Capelli, ciocche che non saranno mai più scompigliate dal vento, che non conosceranno vanità, la grande bellezza, assaporando la propria immagine riflessa allo specchio.
Le stelle non si possono rubare, dimorano sopra di noi, custodi dei nostri sogni.
Eppure le hanno strappate dal cielo e obbligato a cucirle sulla stoffa.
Betulle.
Al di là del filo spinato. Non sento alcun odore. Tutto è maledettamente coperto dalla neve così tanto candida da far paura. Ordine caotico. Silenzio assordante. Solitudine nella moltitudine. Assenza che deve farsi presenza, affinchè i “vuoti occhi” possano colmarsi di una storia che è LA storia, per non sentirsi più estranei nella terra natia né ospiti in quella in cui si sceglie di metter radici. Ricordo. La sensazione di perdere se stessi, il coraggio per preservare la propria anima, sporca, che si vergogna e si cela di fronte a tutta questa nuda verità di morte, ma financo di vita. Più una cosa è grande e meno si riesce a vederla. Ma non lì. L’oscurità pervade e non puoi girare la testa per far finta che non ci sia. Tutto passa, persino dopo le tempeste più devastanti torna la quiete. Dentro, piccoli cambiamenti che tormentano, domande che generano rabbia, solida, concreta, come tale deve essere il ricordo, scolpito nel cuore. Esso è eterno, oltre i numeri tatuati. Nomi. Nomi di chi non ha più una casa, gli abiti, le persone amate. Di coloro cui è stata lacerata la dignità, avendo perso tutto, giacendo sul fondo. E allora, quanti ancora, oggi, devono partire verso il niente; quanti ancora, oggi, vengono fatti schiavi e marciano “scalzi” su strade di discriminazione e terrore. Quanti ancora,oggi, sono obbligati alla fatica muta, alla gioia sommessa, al dolore che toglie il fiato e a una morte anonima?
Attuare il ricordo, affinchè le cose possano andare al giusto posto.
Perché, in fondo, la storia siamo noi e come canta Francesco De Gregori:
“la storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano, la storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”.
IO RICORDO